
RINUNCIA ALL’EREDITA’: ALCUNE ACCORTEZZE
Nel nostro sistema successorio l’eredità si acquista mediante l’accettazione.
Ciò significa che quando si apre una successione (momento che coincide con la morte del soggetto di cui si tratta) colui che comunemente individuiamo come “erede” in realtà è solo un “chiamato all’eredità” e cioè un soggetto che non è ancora investito dei diritti ed obblighi che comporta l’accettazione dell’eredità stessa. Non è ancora il “proprietario” dei beni del defunto e non è ancora il “responsabile” dei debiti del defunto.
Il “chiamato” ha uno stretto rapporto con l’eredità. Avrà il diritto di accettarla o di rifiutarla. Avrà il diritto di valutarne con attenzione la consistenza e, mentre riflette, avrà il potere di compiere alcune operazioni “conservative” che non lo rendono ancora erede.
Chiaramente i terzi, specialmente coloro che vantavano crediti verso il defunto, hanno interesse a capire come si muove il chiamato perché da quello che sarà il comportamento del chiamato dipenderà la sorte del loro credito.
Con l’accettazione pura e semplice, ovvero quella senza il beneficio di inventario, avviene la confusione dei patrimoni e pertanto l’erede risponde dei debiti del defunto anche con i suoi beni e anche oltre il valore dell’asse ereditario.
Il rapporto tra il chiamato e l’eredità e il comportamento del chiamato con i beni ereditari è importante per capire se il chiamato ha accettato o meno l’eredità
Il Chiamato potrà accettare l’eredità con dichiarazione espressa o con un comportamento concludente. Mentre il primo caso è facile da individuare il secondo richiede di individuare un atto di disposizione di un bene ereditario ovvero un atto che il chiamato poteva compiere solo comportandosi come erede in tutto e per tutto come ad esempio vendere un bene, riscuotere un credito o pagare un debito del defunto.
La legge poi distingue il chiamato che si trova nel possesso dei beni ereditari rispetto al chiamato che non è nel possesso dei beni ereditari.
Il chiamato che è nel possesso dei beni ereditari per oltre re mesi è considerato erede puro e semplice, mentre il chiamato che non è nel possesso dei beni ereditari potrà prendersi un tempo notevolmente più lungo per decidere se accettare o meno l’eredità e tale termine coincide con la prescrizione del diritto di accettare (dieci anni).
Colui che non vorrà avere alcun rapporto con l’eredità potrà rinunciarvi.
Pertanto, valutata la situazione, per le più svariate ragioni il chiamato potrà disinteressarsi delle sorti dell’eredità. Le ragioni possono essere le più varie, ad esempio:
- si tratta di una eredità passiva e si vuole evitare di dover rispondere delle passività ereditarie o di affrontare la complessa pratica di accettazione con beneficio di inventario;
- si tratta di una eredità che non si vuole conseguire per ragioni morali;
- si tratta di una eredità che non si vuole conseguire per favorire il subentro delle generazioni successive nella posizione del defunto.
Apparentemente si tratta di una situazione molto semplice. Resa la dichiarazione colui che ha rinunciato è come se non fosse mai stato chiamato all’eredità (art. 521 cc.).
Tuttavia occorre tenere in debita considerazione almeno due particolarità che impegneranno il chiamato rinunciante in termini maggiori rispetto alla pura rinuncia.
Profilo fiscale:
L’art. 28 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, comunemente noto con il TU delle successioni e donazioni dispone che “La dichiarazione della successione deve essere presentata all'ufficio del registro competente, che ne rilascia ricevuta; può essere spedita per raccomandata e si considera presentata, in tal caso, nel giorno in cui è consegnata all'ufficio postale, che appone su di essa o sul relativo involucro il timbro a calendario.” E continua sancendo che “Sono obbligati a presentare la dichiarazione: i chiamati all'eredità e
i legatari ….” . La norma pertanto non impone all’erede di presentare la dichiarazione di successione, ma al chiamato.
Chiaramente il chiamato che non ha accettato ancora l’eredità e non si trova nel possesso dei beni ereditari sarà tenuto alla presentazione della dichiarazione di successione.
Ma quale è la posizione del rinunciante ?
Il rinunciante, come dice la legge si considera come mai chiamato all’eredità, quindi a stretto rigore non è tenuto a presentare la dichiarazione di successione.
Non è quindi tenuto a compiere alcunchè di rilevanza fiscale ?
L’art. 28 al comma 5 dispone che “I chiamati all'eredità e i legatari sono esonerati dall'obbligo della
dichiarazione se, anteriormente alla scadenza del termine stabilito nell'art. 31, hanno rinunziato all'eredità o al legato (…) e ne hanno informato per raccomandata l'ufficio del registro, allegando copia
autentica della dichiarazione di rinunzia all'eredità (…)”.
Quindi per essere esonerati dalla dichiarazione di successione dovranno aver rinunciato entro l’anno dall’apertura della successione e comunicato la rinuncia all’Agenzia delle Entrate.
Chiaramente laddove la rinuncia abbia come fine quello di far subentrare alctri chiamati ce presenteranno la successione nei termini varrà il disposto del comma 4 per cui “Se più soggetti sono obbligati alla stessa dichiarazione questa non si considera omessa se presentata da uno solo” e quindi la mancata comunicazione all’Agenzia non sortirà effetti negativi.
Profilo Civilistico:
Una particolare attenzione dovranno avere quei chiamati che si trovano nel possesso dei beni ereditari e decidono, prima del decorso dei tre mesi dall’apertura della successione (dopo sarebbe inutile e senza effetto) decidano di rinunciare all’eredità.
L’opinione più diffusa e quella certamente da preferire e con essa anche la giurisprudenza tradizionale ponevano il termine dei tre mesi come spartiacque ideale tra l’essere considerato erede e essere un semplice chiamato. Nei tre mesi il chiamato poteva rinunciare all’eredità senza dover fare l’inventario. Questa interpretazione in sintesi si fondava sul dettato normativo che considera il rinunciante come se non fosse mai stato chiamato all’eredità (art. 521 cc) tagliando sin dall’origine il rapporto tra eredità e (già) chiamato. Peraltro i terzi possono conoscere la recisione di questo legame dal registro delle successioni dove sono registrati gli atti di rinuncia.
Purtroppo però una piccola parte della giurisprudenza più recente ha messo i dubbio questa ricostruzione dando un valore diverso all’art. 485 che recita “Il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. (…) Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice (…) Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice”
In particolare la Cass. civ. Sez. III, 29-03-2003, n. 4845 ha disposto che “L'onere imposto dall'art. 485 c.c. al chiamato all'eredità che si trovi nel possesso di beni ereditari di fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia di essa condiziona non solo la facoltà del chiamato di accettare l'eredità con beneficio di inventario ex art. 484 c.c., ma anche quella di rinunciare all'eredità, ai sensi del successivo art. 519 c.c., in maniera efficace nei confronti dei creditori del "de cuius", dovendo il chiamato, allo scadere del termine stabilito per l'inventario, essere considerato erede puro e semplice”.
Quindi in buona sostanza il chiamato dovrebbe comunque compiere l’inventario se si trova nel possesso dei beni ereditari e poi rendere la dichiarazione di rinuncia. Senza inventario la rinuncia sarebbe da considerarsi non efficace. Si tratta in realtà di un orientamento non consolidato sebbene alcuni autori vedano una conferma dalla successiva Cass. civ. Sez. VI - 2 Ordinanza, 13-03-2014, n. 5862 “Ai sensi dell'art. 485 c.c. il chiamato all'eredità, che si trovi nel possesso di beni ereditari, ha l'onere di fare l'inventario e la mancanza dell'inventario, nei termini prescritti dalla legge, comporta che il chiamato vada considerato erede puro e semplice e che lo stesso, quindi, perda non solo la facoltà di accettare l'eredità con beneficio dell'inventario, ma anche quella di rinunciare alla stessa.”.
Questo orientamento,a cnora isolato, pur non mutando la comune opinione che la rinuncia nei tre mesi anche in assenza di inventario sia efficace impone particolare prundenza anche considerando la situazione di possesso dei beni ereditari è una situazione particolarmente “scivolosa” bastando anche un solo bene ( vedi Cass. civ. Sez. II, 14-05-1994, n. 4707 ”Il possesso dei beni ereditari (…)non deve necessariamente riferirsi all'intera eredità, essendo sufficiente il possesso di un solo bene (…)” ) e non essendo necessaria un comportamento particolarmente stretto, bastando una qualsiasi relazione con i beni ( sempre Cass. civ. Sez. II, 14-05-1994, n. 4707 “esaurendosi in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all'eredità, e cioè in una situazione di fatto che consenta l'esercizio di concreti poteri su beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario.”)