Coacervo e legalità tributaria

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Coacervo ereditario, imposta di successione e principio di legalità

Coacervo è un termine ignoto ai più e, nell’ambito dell’imposta di successione e donazione indica la necessità di sommare all’asse ereditario (o all’attuale oggetto della donazione) le donazioni effettuate anteriormente.

La norma ha due principali fonti normative:

in materia successoria l’art. 8 del  D.Lgs. 31-10-1990 n. 346 che al comma 4 recita “Il valore globale netto dell'asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell'art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari, comprese quelle presunte di cui all'art. 1, comma 3, ed escluse quelle indicate all'art. 1, comma 4, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell'imposta in misura fissa a norma degli articoli 55 e 59; il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati è maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o legatario. Per valore attuale delle donazioni anteriori si intende il valore dei beni e dei diritti donati alla data dell'apertura della successione, riferito alla piena proprietà anche per i beni donati con riserva di usufrutto o altro diritto reale di godimento.”;

in materia di donazione l’art. 57 del medesimo provvedimento: “ Il valore globale netto dei beni e dei diritti oggetto della donazione è maggiorato di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni, anteriormente fatte dal donante al donatario, comprese quelle presunte (…) Negli atti di donazione (…) devono essere indicati gli estremi delle donazioni anteriormente fatte dal donante al donatario o ad alcuno dei donatari e i relativi valori alla data degli atti stessi (…)

Ha ancora senso parlare oggi di coacervo ?

Nell’ambito delle donazioni la risposta è senza dubbio positiva. L’art. 57 trova piena applicazione. Nel nuovo impianto dell’imposta di donazione il “cumulo” con le donazioni precedenti è funzionale a determinare se siano o meno superate le franchigie di legge.

A esempio: se un soggetto dona al proprio fratello la somma di Euro 80.000,00 con le franchigie attuali la donazione sarà esente da imposta in quanto “in franchigia”. Nel caso di una seconda donazione dell’importo di Euro 50.000,00 con atto successivo, la medesima, pur essendo inferiore a Euro 100.000,00 sarà soggetta a imposta nella misura del 6% sull’importo di Euro 30.000,00 (Euro 80.000,00 + Euro 50.000 = Euro 130.000,00 di cui Euro 100.000,00 “in franchigia” ed Euro 30.000,00 soggetti a imposta).

Nell’ambito dell’imposta di successione la questione merita più di un dubbio.

Facciamo un passo indietro.

A cosa serviva il coacervo nelle successioni ? l’art. 8 testualmente dice “è maggiorato ai soli fini della determinazione delle aliquote…”. La disposizione era strettamente legata all’impianto originario del T.U. sulle successioni e donazioni.

IL T.U. nasceva nel 1990 con un impianto particolare. L’imposta seguiva una impostazione progressiva: l’importo dell’imposta era determinata da due aliquote distinte, una in funzione dell’asse ereditario e una (maggiorazione) determinato dal rapporto di parentela. L’impostazione seguiva scaglioni progressivi.

In questo contesto, in assenza di coacervo, le donazioni potevano essere un facile strumento di elusione della progressività. Pertanto il coacervo serviva per “collocare” il residuo ereditario all’interno dello scaglione di valore corretto (“…ai fini della determinazione dell’aliquota…”).

L’art. 69, comma 1, lettera c), della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Governo Prodi) ha modificato una prima volta l’imposta rendendola proporzionale, ovvero con una percentuale fissa in funzione del solo rapporto di parentela su un importo eccedente la somma di lire 350.000.000.

L’imposta è stata poi soppressa dagli articoli da 13 a 17, L. 18 ottobre 2001, n. 383 (Governo Berlusconi bis) e poi nuovamente istituita dal comma 47 dell’art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (Governo Prodi bis) fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54 dello stesso articolo 2.

Nell’ultima versione le aliquote non sono più all’interno del D.Lgs. 31 ottobre 1990, ma nel comma 48 art. 2 l. 262/2006 e quindi il vecchio art. 7 risulta di fatto (ma non testualmente) abrogato.

Due pertanto i motivi per ritenere implicitamente abrogato l’istituto del coacervo in materia di successioni:

in primo luogo il fatto che sia implicitamente abrogato l’art. 7 al quale l’art. 8 farebbe riferimento. Siccome il D.lgs. 346 del 1990 è stato “riesumato” dopo essere “defunto” con la riforma del Governo Berlusconi, lo è stato in quanto compatibile con i commi da 48 a 54 della legge che lo ha riesumato. E il coacervo sembra incompatibile con le nuove disposizioni.

In secondo luogo, soprattutto da un punto di vista letterale, il coacervo era operazione necessaria solo (non “anche”, ma “solo”!) per la determinazione delle aliquote applicabili. Nell’imposta dopo il 2000 le aliquote sono uniche in funzione del rapporto di parentela e non in funzione del valore dell’asse. Ritendere il “coacervo” per la determinazione della “franchigia” è operazione concettualmente diversa dalla determinazione dell’”aliquota applicabile”.

Da ultimo nei diversi interventi normativi il legislatore è ben attento a non limitare la portata del “coacervo” nelle donazioni quale operazione funzionale solo al calcolo delle aliquote, eppure anche l’impianto dell’imposta di donazione è cambiato come l’imposta di successione. Nell’imposta di successione tuttavia il legislatore non interviene sull’art. 8 (ubi lex voluit dixit ….).

L’Agenzia delle Entrate appare di contrario avviso. Nella Circolare 3 del 2008 al punto 3.2.3. asserisce che “Ai soli fini dell’applicazione della franchigia sulla quota devoluta all’erede o al legatario, si deve tener conto del valore delle donazioni in vita fatte dal de cuius a favore dello stesso erede o legatario”. La spiegazione di questo salto logico tra “i soli fini della determinazione delle aliquote” e i “soli fini dell’applicazione della franchigia” nel silenzio del legislatore che nulla dice in proposito, è data nei seguenti termini ”A seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 342 del 2000, il disposto dell’articolo 8, rimasto immutato nella sua formulazione, deve logicamente riferirsi non più alla determinazione delle aliquote, stabilite in misura proporzionale, bensì all’applicazione delle franchigie, posto che sotto tale profilo le modalità applicative previste nel precedente regime sono analoghe alle attuali.”. Arrivando a comprendere nel coacervo anche le donazioni poste in essere nel periodo compreso tra il 25 ottobre 2001 (data di entrata in vigore della legge n. 383 del 2001 che aveva abrogato l’imposta di successione) e il 29 novembre 2006 (data di entrata in vigore dell’attuale regime in materia di successioni) in cui l’imposta era abolita !

La posizione è ampiamente confermata dalle istruzioni alla compilazione della Dichiarazione di successione telematica, come si evince facilmente nel quadro ES – Donazioni ed atti a titolo gratuito.

Di contrario avviso la Corte di Cassazione in proposito Cass. civ. Sez. V Sent., 06-12-2016, n. 24940 “In tema d'imposta di successione, intervenuta la soppressione del sistema dell'aliquota progressiva in forza dell'art. 69 della l. n. 342 del 2000, deve ritenersi implicitamente abrogato l'art.8, comma 4, del d. lgs. n. 346 del 1990, che prevedeva il cumulo del "donatum" con il "relictum" al solo fine di determinare l'aliquota progressiva da applicare, attesa la sua incompatibilità con il regime impositivo caratterizzato dall'aliquota fissa sul valore non dell'asse, ma della quota di eredità o del legato”. E la quasi contemporanea Cass. civ. Sez. V, 16-12-2016, n. 26050 ”La previsione di cui all'art. 8, comma 4, del D.Lgs. n. 346 del 1990, rescrivente il coacervo del donatum con il relictum, non era finalizzata a ricomprendere nella base imponibile anche il donatum (oggetto di autonoma imposizione), ma unicamente a stabilire una forma di "riunione fittizia" nella massa ereditaria dei beni donati, ai soli fini della determinazione dell'aliquota da applicare per calcolare l'imposta sui beni relitti. Orbene, fermo restando che il "cumulo" non sortiva effetto impositivo del donatum, ma soltanto effetto determinativo dell'aliquota progressiva, si ritiene logica e coerente conseguenza che, eliminata quest'ultima in favore di un sistema ad aliquota fissa sul valore non dell'asse globale ma della quota di eredità o del legato, non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo.

L'istituto del "coacervo" previsto dal D.Lgs. n. 346/1990, art. 8, comma 4, secondo cui il valore globale netto dell'asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari, essendo venuto meno il sistema impositivo mediante aliquote progressive, non può ritenersi comunque tuttora vigente al residuale fine di individuare la base imponibile al netto della franchigia esente da imposta.”

L’impostazione della Cassazione non è del tutto condivisa dalla dottrina. Parte della medesima infatti è ripiegata sulla posizione dell’Amministrazione finanziaria. Le argomentazioni, oltre che di carattere logico sono anche di carattere analgico giuridico. Secondo tale impostazione, negando lo spazio al coacervo si aprirebbe la strada ad una programmazione successoria/fiscale particolare. Poniamo il caso di un soggetto titolare di un patrimonio di Euro 2.000.000 ed un solo figlio. Chiaramente se il soggetto venisse a mancare intestato e senza aver disposto nulla in donazione l’imposta all’aliquota attuale ammonterebbe a Euro 40.000 (ovvero 1.000.000 in franchigia e 1.000.000 X 4%). Qualora invece, senza dar spazio al coacervo, il medesimo disponesse una donazione di 1.000.000, alla morte del donante, nessuna imposta graverebbe sul figlio erede. La conseguenza sarebbe una estensione analogica in materia successoria di quanto mantenuto in materia di donazione.

Tuttavia la domanda fondamentale è: è sufficiente la logica per creare una imposta o è necessaria una norma ?

A propendere per la seconda soluzione non è solo la Cassazione, ma probabilmente direttamente la Costituzione. L’art. 23 recita “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”. La formulazione oltre che per prossimità è molto simile all’art. 25 in materia di responsabilità penale.

L’imposizione tributaria segue un principio di legalità: un tributo esiste in quanto imposto dalla legge. Se la legge, ancorché possa apparire incoerente con il resto dell’impianto normativo (ma oggi in materia Tributaria richiedere la coerenza è certamente un azzardo!), non prevede l’imposizione di una certa fattispecie, allora la fattispecie non deve essere tassata. Tassare in via analogica, così come non è consentito in materia penale, non dovrebbe essere consentito in materia tributaria.

L’orientamento della Cassazione, anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, deve essere senz’altro condiviso.

Come comportarsi oggi ?

Difficile rispondere a questa domanda.

Aderendo alla tesi della Cassazione in dichiarazione di successione non dovrebbero essere inserite le donazioni. Tuttavia il modello approvato dall’Agenzia le prevede il loro inserimento. Gli operatori pratici segnalano numerose richieste da parte dell’Agenzia delle Entrate di inserimento in dichiarazione di donazioni non inserite.

Il rischio oltre che dal contenzioso specifico sulla vigenza o meno del coacervo deriva dalla sanzione per infedele dichiarazione ex art. 51 del medesimo Testo Unico (dal 100 al 200% dell’imposta non pagata). L’infedeltà della dichiarazione è definita nell’art. 32, comma 3, del T.U.S., il quale, tra le varie cause che la producono, prevede la mancata indicazione nella dichiarazione di successione delle donazioni anteriori alla data di scomparsa del de cuius da quest’ultimo effettuate.